Il Museo illustra l’intera vicenda storica della città antica e del territorio di Olbia, dalla preistoria al XIX secolo, con particolare riferimento alle fasi fenicia, greca, punica e romana dell’area urbana e portuale, le più ricche di documentazione storica e archeologica.
Elemento di particolare interesse sono i relitti romani e medievali rinvenuti nello scavo del porto antico, corrispondente al lungomare dell’attuale centro storico.
Olbia è l’unica città della Sardegna ad essere stata abitata da Greci, tra il 630 e il 520 a. C. circa, e il nome da essi datole, Olbía, cioè “felice” in rapporto alle straordinarie opportunità che il sito offre all’insediamento umano, è stato adottato quale nome e logo, in caratteri greci maiuscoli, del Museo.
Orari di Apertura / Opening Times
DA MARTEDI’ A DOMENICA 8.00 -13.00 / 16.00 – 19.00
LUNEDI’ chiuso
Ingresso gratuito | free entrance
Per gruppi superiori a 30 persone è preferibile la prenotazione telefonando, alcuni giorni prima della vista, al numero di telefono 0789 28290, dalle ore 8.00 alle 14.00, dal lunedì al venerdì.
INFO Tel. +39 0789 28290
Il Museo Archeologico di Olbia si trova sull’Isola Peddone, prospiciente il centro storico.
Vi è un ampio parcheggio gratuito presso il Molo Brin, adiacente al Museo Archeologico.
Si può arrivare in autobus utilizzando la linea 9 del trasporto pubblico urbano Aspo, fermata fronte municipio.
Olbia nel II sec. d. C. (R. D’Oriano-E. Putzu)
Vista aerea del Museo archeologico
Il Museo sorge sulla piccola Isola Peddone, antistante il porto odierno e già in antico costituente elemento di spicco del sistema portuale urbano.
Dai terrazzi la vista abbraccia in primo piano il porto odierno e, a distanza di soli 100 metri, il luogo di provenienza dei relitti, nel più ampio contesto della porzione di area urbana moderna che cela la città antica .
In secondo piano ben apprezzabile a 360 tutto il Golfo Interno, la piana retrostante e il teatro di colline che circondano e completano questo sistema paesistico-ambientale così ottimale in ogni epoca per l’antropizzazione.
Il visitatore coglie così tutti i principali e significativi rapporti di relazione tra il contenitore e le porzioni del territorio da cui provengono i reperti in esso contenuti, e più in generale le opportunità ambientali che determinarono e favorirono il felice sviluppo della vicenda umana in questi luoghi come narrata nel Museo.
Esso inoltre, per essere ubicato sul porto che accoglie il numero di gran lunga più cospicuo di visitatori della Sardegna e per ospitare reperti di interesse sovranazionale come i relitti e gli alberi e timoni di navi, si pone come il migliore “invito” e la migliore “vetrina” per l’intera offerta di Beni Culturali dell’Isola.
Il presupposto simbolico e significante della progettazione architettonica dell’edificio, opera di G. Maciocco, è l’immagine di una nave ormeggiata in porto, in ragione sia del contesto urbano portuale nel quale l’opera si inserisce sia del ruolo storico e culturale di Olbia quale importante porto della Sardegna che il Museo illustra. Alla nave alludono alcuni aspetti formali generali e alcuni particolari come finestre circolari, passerelle sospese, ecc.
Da notare la percorribilità degli spazi aperti superiori, terrazze e passaggi, agibili dall’esterno anche al pubblico non pagante, quale incentivo ad una fruibilità e acquisizione di dimestichezza con l’edificio da parte di ogni tipo di visitatore, nel senso di una “vivibilità” della struttura a prescindere dalla funzione museale, e che consentono l’allestimento di spazi di ristorazione e spettacoli di grande suggestione per lo sfondo urbano e paesistico di notevole pregio del quale possono giovarsi.
L’edificio dotato di due sale per esposizioni temporanee, sala conferenze, sala didattica per le scuole, spazi di ristorazione e bookshop, palazzina uffici (che utilizza un edificio umbertino preesistente e che il Museo armonicamente ingloba) secondo i più moderni criteri della fruizione museale.
Anche la filosofia complessiva dell’allestimento, opera di G. Maciocco, R. D’Oriano e A. Huber, è fondata sul rigore e sulla semplicità. Le grandi pareti bianche delle sale, lasciate libere, costituiscono lo sfondo neutro sul quale si stagliano le grandi vetrine completamente trasparenti, i blocchi parallelepipedi dei pannelli e di supporto dei video. Tutti questi “oggetti” sono muniti di ruote non visibili che consentono agevolmente ogni modifica di percorso.
Per originalità e/o spettacolarità si segnalano invece alcuni accorgimenti didattici e/o espositivi: plastici di grande formato della città romana e del porto, ricostruzioni a grandezza reale di due sezioni di navi romane comprensive del carico e delle dotazione di bordo (a corredo dei relitti), pannelli sospesi trasparenti con immagini virtuali 3D di navi romane, proiezioni video a parete, la replica al vero di una statua di Eracle (della quale si rinvenne la sola testa ora esposta in vetrina, che di certo uno dei reperti più rilevanti dell’intero percorso di visita).
Lo strumento didattico più coinvolgente è un sistema video-audio di proiezione su parete a 180 e suono stereo (proiezione cilindrica) che rievoca l’attacco dei Vandali alla città romana.
Olbia romana, un infausto giorno, verso il 450 d. C…. una vela all’orizzonte … due…tre…troppe!
Navi da guerra!
Nostre? I Vandali! All’armi!
Il giorno tanto temuto è arrivato. Bruciano le navi in porto e l’intera città subisce un irreparabile colpo che la condizionerà per secoli.
Anche il cammino di questo Museo subirà così una brusca svolta.
L’originaria idea progettuale prevedeva l’esposizione al piano terra, destinando gli spazi del piano superiore a laboratori e depositi. Ma il rinvenimento di ventiquattro relitti romani e medievali nello scavo del tunnel viario sotto il porto odierno, che corrisponde all’approdo antico, ha imposto una radicale revisione del percorso, riservando le più ampie sale del piano basso a cinque dei più significativi di essi e trasferendo al meno ampio piano primo l’esposizione della storia della città e del territorio.
La narrazione si apre quindi con un flash back. Il visitatore piomba direttamente nel bel mezzo della vicenda storica di Olbia con i relitti del porto, per poi scoprire al piano superiore il lungo cammino che precede e che segue quegli avvenimenti, ricomponendone così il contesto globale dalla preistoria al XX secolo.
L’ampia sala circolare di ingresso al Museo espone un sarcofago e un coperchio di un altro sarcofago in marmo d’età romana imperiale.
Una breve proiezione video a parete sulla storia di Olbia consente al visitatore di comprendere che i relitti che sta per vedere nelle sale successive si collocano cronologicamente alla metà dell’intera vicenda storica di Olbia.
Verso il 450 d. C. i Vandali, nell’ambito di una più ampia strategia bellica messa in campo contro Roma, attaccarono Olbia decretando la fine della città romana. Nell’evento bellico andarono a fuoco e affondarono undici navi onerarie nel porto; i relitti di due di queste sono esposti nella sala.
Due sezioni ricostruttive a dimensioni reali di navi onerarie romane aiutano il fruitore nella comprensione dei reperti esposti.
Relitti romani prima metà del V sec. d.C.
Ricostruzioni di navi onerarie romane
Pale da timone d’età romana e Albero di nave. 70 d. C. circa
Sono inoltre esposti tre aste da timone e due alberi di navi romane tutti conservati – fatto finora unico nella storia dell’archeologia mediterranea – per buona parte della loro lunghezza originaria (dai 7 agli 8 metri di lunghezza). Si tratta, assieme al relitto medievale della sala 3, dei primi relitti visibili di quanti scavati in Italia negli ultimi vent’anni, e in tutto il nostro Paese solo altri quattro musei espongono imbarcazioni antiche.
Questi reperti fanno del Museo di Olbia quello che in tutta l’Italia espone il maggior numero di navi antiche e l’unico al mondo che mostra alberi e timoni d’età romana, e quindi principale riferimento per chi voglia approfondire la conoscenza tecnica della navigazione antica.
Relitto romano n. 3 in scavo. Prima metà del V sec. d. C.
Relitto medievale n. 8 in scavo. X-XI sec.
Un saletta con sedili ospita una proiezione video a parete sullo scavo del porto e i suoi relitti. Il resto dello spazio è destinato ai relitti di futuro restauro e allestimento: un altro dei relitti affondati dai Vandali e di un relitto medievale.
Il relitto medievale qui esposto, su una sagoma che permette di comprendere la posizione dei legni nell’ambito dello scafo, è una imbarcazione di piccole dimensioni, forse destinata al traffico nel solo Golfo Interno di Olbia o lungo le coste limitrofe. Si tratta, ad oggi, dell’unico relitto medievale visibile in tutta l’Italia.
Relitto medievale C. XIV sec.
Una suggestiva proiezione su parete a 180 che rievoca l’attacco dei Vandali alla città romana e riassunto del resto del percorso.
Il grande plastico del porto di Olbia al massimo della monumentalizzazione nel II sec. d. C.
Il piano primo illustra l’intera vicenda umana della città e del territorio, dalla preistoria al XIX secolo, con particolare riferimento all’area urbana, la più ricca di documentazione archeologica.
Il “racconto” che il Museo propone seleziona come fil rouge , tra i vari possibili, il ruolo di porta di accesso alla Sardegna, e di apertura dell’Isola verso il Mediterraneo intero, che Olbia ha rappresentato fin dalla preistoria grazie alla sua posizione strategica sulle rotte tirreniche e al suo riparatissimo porto naturale, ponendo l’accento quindi sulle stratificazioni culturali che vi si sono avvicendate (Fenici, Greci, Punici, Romani, Vandali, Bizantini, Pisani, Aragonesi, ecc.) e sul cosmopolitismo, valorizzando il rapporto inter-culturale e la multiculturalità dei gruppi umani come risorsa primaria e insegnamento per un futuro già presente.
Il racconto principia con le fasi prenuragica e soprattutto nuragica del territorio (vetrina prima e seconda) con manufatti bronzei tra i quali un modellino di barca e ancore di tipologia preistorica (fuori vetrina), reperti non abbondanti, ancorché molto significativi, poiché la storia dei rinvenimenti archeologici nel territorio olbiese ha dovuto privilegiare l’area urbana antica, a scapito del territorio, per motivi di tutela, a causa della sovrapposizione dell’abitato moderno rispetto a quello antico.
Navicella di bronzo. Età nuragica
Coppa di Corinto. 600 a. C. circa
Testina di divinità femminile greca. Fine VI sec. a. C.
Vasetto porta unguenti da Atene. IV sec. a. C.
La nascita dell’insediamento urbano, tra i più antichi dell’intero Mediterraneo Occidentale, si deve ai Fenici di Tiro verso il 750 a. C. (vetrina terza), in funzione dei traffici della madrepatria con le ricche aristocrazie dell’opposta sponda tirrenica.
Attorno al 630 a. C. l’insediamento passa in mano dei Greci di Focea (vetrina quarta: notevoli una coppa figurata di Corinto e una testina fittile di divinità femminile), quale loro primo insediamento nel Mediterraneo Occidentale; Olbia è così in questa fase l’unico centro greco di tutta la Sardegna
Con la conquista della Sardegna da parte di Cartagine, tra 540 e 510 a. C., anche Olbia divenne una città punica, anche se inizialmente interessata solo da un presidio militare o poco più in relazione alle sue potenzialità strategiche sul Tirreno.
Cartagine si attesterà qui in forze solo verso il 330 a. C. con la deduzione di una vera e propria colonia, per resistere alle mire espansionistiche di Roma e per cogliere appieno le opportunità anche commerciali del sito (vetrina prima: notevoli le ceramiche ateniesi e laziali, le matrici per decorazioni, i fittili votivi). Interessanti anche i materiali dalle necropoli (vetrina seconda).
Col 238 a. C. anche Olbia cade, con l’intera Sardegna, in potere di Roma. L’evento non appare cruento, e molto rispettosa della cultura punica è la gestione dei nuovi dominatori (vetrina terza con corredi funebri e fittili votivi femminili). A questa fase risalgono la stele di granito col simbolo della dea Tanit e l’iscrizione punica (corridoio di raccordo alla sala 3).
Sempre alla fase di passaggio tra l’Olbia punica e l’Olbia romana sono pertinenti alcune terracotte figurate e vasi da corredi funebri (vetrina prima), e le anfore del porto (fuori vetrina).
Sala 3 del piano primo
Dalla metà del I sec. a. C. la città appare del tutto romanizzata sia nel suo aspetto urbano (vetrina prima e seconda e plastico della città a parete) che funerario (vetrina terza e iscrizione e urna cineraria fuori vetrina). Si segnalano in particolare le teste di statua dell’imperatore Domiziano e di sua moglie Domizia e la matrice con scena di processione trionfale . Il reperto di gran lunga più rilevante sia di questa sezione sia dell’intero Museo, assieme ai relitti, per la straordinaria testa di statua di Ercole, principale dio della città della quale si propone al visitatore la ricostruzione completa a grandezza naturale e nei colori originari.
Sala 4 o “di Ercole” del piano primo
Tutte le navi portano a Olbia. L’Olbia romana intrattiene, direttamente e indirettamente, relazioni con l’intero Mediterraneo e oltre, immersa nel grande flusso commerciale e culturale del primo mondo che possiamo dire “globale”, cioè l’Impero Romano. Assieme alle numerose merci di importazione da tutto il mondo antico (vetrina prima e seconda e capitello e anfora fuori vetrina) molti sono i dati che mostrano una compagine umana con numerosi tratti di cosmopolitismo. Gli oggetti più “esotici” sono un bruciaprofumi a figura di ananas o pigna da Cnido , un askòs a forma di cammello dalla Siria, coppe a rilievo da Corinto, un minuscolo zaffiro da Ceylon.
Sala 5 del piano primo
Con il IV sec. d. C. principiano i segnali di crisi economica, a seguito del mutamento delle dinamiche economiche del Mediterraneo Occidentale che iniziano a marginalizzare il ruolo di porto tirrenico di Olbia.
Verso il 450 d. C. la città subisce il durissimo colpo infertole dai Vandali (vetrina quarta). I nuovi dominatori non sono interessati a ripristinarne la piena funzionalità portuale e urbana, poiché i loro interessi commerciali si giocano non sul Tirreno ma tra Sardegna, nord Africa e Spagna, a fronte anche della drammatica contemporanea decadenza che la Penisola Italiana attraversa col crollo dell’Impero d’Occidente.
Sala 6
Anche i secoli della riconquista bizantina non sono favorevoli per Phausania (questo il nome assunto ora dal piccolo borgo ristretto al cuore di quella che era stata l’Olbia romana) sia perché i contatti tra l’Impero di Costantinopoli e la Sardegna non passano principalmente dalla costa nord-orientale dell’Isola sia per il perdurare della crisi della Penisola. Anche il pericolo arabo, concretizzatosi probabilmente in un attacco, pur se non esiziale, nel VII sec., fattore di incertezza, e tuttavia non si interrompe del tutto l’afflusso di beni anche di lusso (vetrina prima con croce aurea, collana di pasta di vetro, vaso a smalto verde dal Lazio).
Croce d’oro. VI-VII sec. d. C.
Con la costituzione dei Giudicati, cioè i quattro regni nei quali la Sardegna suddivisa tra il X e il XIV sec., Civita (Olbia) capitale del meno prospero e potente, quello di Gallura. Tuttavia grazie all’alleanza con Pisa decolla nuovamente, dopo sette secoli di stenti, il traffico marittimo d’ampio respiro con il ripristino della funzionalità del porto urbano (vetrina seconda: ceramiche decorate a smalti multicolori).
La conquista della Sardegna da parte della Corona d’Aragona nel corso del XIV sec. torna a marginalizzare Terranova (nuovo nome di Olbia), anche perché i nuovi dominatori sono fatalmente interessati più alle rotte che connettono l’Isola alla loro madrepatria che a quelle tirreniche. I secoli XV-XVIII rappresentano il picco negativo della città confinata, rispetto al passato, in perimetrici asfittici e quasi di irrilevanza sul piano extra cittadino, e tuttavia anche nel momento più buio prosegue l’afflusso di importazioni d’oltremare (vetrina seconda: ceramiche liguri e toscane a smalti policromi tra le quali spicca un piatto “degli sposi” di Faenza).
La situazione non molto più florida con l’avvento nel controllo della Sardegna da parte della dinastia sabauda nel XVIII sec., la quale privilegia i contatti dell’Isola nella direzione dei porti liguri.
Solo con la fine del XIX-inizi XX sec., cioè anche con la necessità di contatti tra la Sardegna e la nuova capitale dell’Italia unitaria, l’area urbana, dopo 15 secoli, riacquista e inizia a valicare il perimetro della città romana. Volàno di ulteriore decollo saranno il ripristino della funzionalità del golfo con opere portuali e di dragaggio del suo accesso interrito da detriti fluviali e poi, dagli anni ’60, l’esplosione del fenomeno del turismo marino-balneare, prima di élite e ben presto di massa.
L’ultimo pannello, nella sala sesta, trae quello che pare l’insegnamento più stimolante di questo ricco e complesso percorso storico e umano che il Museo racconta, e pare perciò opportuno riportarne qui integralmente il testo.
Negli ultimi cinquanta anni Olbia ha attraversato una fase di espansione economica, urbana e demografica esplosiva, finalmente dopo diciassette secoli eguagliando e poi superando i fasti della città punica e romana. Il consistente inurbamento di genti da un altrove prima sardo e via via sempre più remoto fino, negli ultimi anni, agli estremi confini del mondo fa dire agli olbiesi di più antico radicamento “Olbia non è più la stessa”. Infatti, o al contrario, solo così e solo ora Olbia è di nuovo “se stessa”. La sua storia antica una storia di avvicendamento e stratificazione di genti neolitiche, nuragiche, fenicie, greche, puniche, romane, vandale, bizantine, pisane, aragonesi, ecc. , delle quali tutte siamo eredi e figli noi uomini del Mediterraneo.
E’ una storia di apertura a contatti del più ampio raggio, di multietnicità e multiculturalità di incontro e scambio fecondo di uomini e idee.
Essa insegna che questa città portuale tanto strategica trova proprio nell’apertura, nell’accoglienza e nell’integrazione dell'”altro” la sua vera identità e le sue vere fortune, quando realizza la sua trimillenaria vocazione a guardare verso i più ampi orizzonti geografici e umani, valorizzando ora come nel passato ciò che accomuna, al di là delle lingue, dei colori e delle fedi, per il reciproco benessere e progresso.
Spesso si ritiene che lo studio del passato sia necessario perché la storia si ripete e possiamo così volgerci indietro alla ricerca di soluzioni per il presente. No, la storia non si ripete mai. Essa per fonte di conoscenze sull’uomo, sulla specie umana, insomma su noi stessi.
La vicenda di Olbia antica e odierna sottolinea il valore del rapporto inter-culturale come risorsa primaria, prezioso insegnamento per questo presente e per un futuro già incombente.
Testo e immagini di queste pagine: Soprintendenza per i Beni Archeologici per le Province di Sassari e Nuoro (testi: R. D’Oriano, immagini : E. Grixoni).